Hikikomori

Psicologo Hikikomori Padova e via Zoom

Che cos’è l’hikikomori?

Oggi si parla sempre più spesso di hikikomori per descrivere situazioni di ritiro sociale, specialmente situazioni di ritiro estremo.

Le caratteristiche centrali delle persone in hikikomori sono la rinuncia ai contatti con gli altri e forti sentimenti che avvertono come incomunicabili all’esterno.

Partiamo dal principio. Hikikomori, la sindrome.

Il primo ad usare il termine “hikikomori” per descrivere una particolare condizione esistenziale è stato lo psichiatra giapponese Tamaki Saito, nel saggio Hikikomori: Adolescence without end (Hikikomori: adolescenza senza fine) ad oggi disponibile nell’originale giapponese e in traduzione inglese.

Le osservazioni Saito si sono concentrate su ragazzi che avevano alle spalle già molti mesi (in media 39) di ritiro nella propria in casa o nella propria stanza. Si trattava di una situazione che in media iniziava ad emergere attorno ai 15 anni e mezzo, e riguardava principalmente i figli maggiori maschi di famiglie abbastanza benestanti.

Questo ci dice una cosa importante: il primo dei segnali che ci devono far pensare alla sindrome di hikikomori è un rapporto difficile dell’adolescente con la scuola.

Questo rapporto inizia solitamente con un adolescente che non vuole andare a scuola. Può esprimerlo chiaramente o (molto più spesso) tenere nascosto ai genitori il fatto che sta iniziando a fare delle assenze sempre più frequenti. Ricostruendo quello che è successo a posteriori, spesso ci si accorge che c’è stato un periodo in cui il rendimento scolastico era iniziato a calare e non era stato possibile comprendere da cosa dipendesse.

Questo è particolarmente frequente nel momento del passaggio dalla scuola media alla scuola superiore, un momento che mette particolarmente sotto tensione un adolescente. (Il passaggio fra scuola superiore e università o mondo del lavoro presenta difficoltà simili).

Tutto questo può iniziare in un modo sfumato, che rende difficile accorgersene: ad esempio, l’adolescente può manifestare malessere, sintomi fisici che gli diano una ragione per stare a casa ma che non permettono di comprendere che lo scopo sia quello di evitare la frequenza scolastica.

Più di frequente al ragazzo è chiara la motivazione dietro alla volontà di non frequentare la scuola: l’ansia. Questa viene spesso nascosta ai genitori, fino a che non emerge in modo esplosivo; insomma, è troppa per tenerla nascosta.

Quando il livello di ansia raggiunge delle proporzioni molto elevate, si possono creare le condizioni per arrivare all’interruzione completa della frequenza scolastica.

Una paura opprimente non permette più a questi ragazzi di entrare in contatto con la scuola, e la famiglia rimane sbigottita e non sa cosa fare.

Quando i genitori si rivolgono al ragazzo per capire cosa stia succedendo e per aiutarlo, la confusione aumenta: neanche lui sa rispondere, sa solo che sta male.

E cos’è che sta succedendo?

Saito suggerisce che qualcosa sia andato storto nel momento in cui l’adolescente si è trovato a dover affrontare i normali conflitti adolescenziali.

Un esempio importante è il rapporto con la vergogna: il sentimento della vergogna è centrale in adolescenza. L’adolescente deve sopportare, per anni, di avere un’immagine di sé incerta, in formazione, in crescita.

Nei ragazzi in hikikomori, questa vergogna diventa inaffrontabile: l’adolescente sente di non potercela fare, di non poter sopportare il confronto. Gli altri sono fonte di paura, timore di umiliazione a cui rispondere scappando o con esplosioni rabbiose.

La vergogna ci segnala la fondamentale mancanza di autostima del ragazzo in hikikomori.

Questo ci dice perché il rapporto con i compagni di scuola, i coetanei, è tanto importante: vengono iperselezionati o completamente evitati. I genitori si chiedono come mai il figlio non abbia amici e non esca mai di casa. Si tratta sicuramente di un campanello d’allarme importante, che va letto all’interno di un generale blocco della socializzazione: il ragazzo si sente così inadatto al confronto con gli altri che li tiene a debita distanza, chiudendosi in se stesso.

Va segnalata anche la tendenza ad evitare il confronto coi genitori, partendo da bugie sui voti scolastici fino ad arrivare ad evitare ogni confronto che dal punto di vista del ragazzo potrebbe scoprire qualche nervo.

Questi adolescenti, dunque, si trovano a passare molto tempo da soli. Da qui nasce l’idea che, oltre ad essere isolati, siano perennemente attaccati al computer e/o ai videogiochi.

Un dato interessante e, se vogliamo, controintuitivo, è l’accento messo da Saito stesso sulla necessità di favorire l’interessamento ai propri hobby ed passatempi da parte del ragazzo in hikikomori. Queste attività, che spesso passano per l’utilizzo del computer, la lettura o la visione di film costituiscono un importante contatto col mondo emotivo e relazionale da parte del ragazzo.

Privarlo di questi hobby, magari allo scopo di spronarlo a tornare ad interessarsi della scuola o ad uscire, è controproducente, in quanto rischia di spezzare gli ultimi legami con il mondo relazionale.

[Sintonizzarsi con il bisogno di isolamento e prenderlo per un bisogno legittimo è un fondamentale punto di partenza][Video con sottotitoli]

Una realtà italiana

Ho parlato di un’idea e di un termine nato in Giappone.

E l’Italia? Ha senso parlare di sindrome di hikikomori per l’Italia?

I ragazzi italiani sembrano reagire in un modo simile a quelli giapponesi alle situazioni emotive che li spingono a ritirarsi. Questa spinta emotiva al ritiro è l’elemento centrale.

Questo dipende dal fatto che, ipotizza Saito, Giappone ed Italia condividono una cultura della famiglia simile, per certi aspetti. In altri luoghi, questi ragazzi soffrirebbero comunque, ma probabilmente lo manifesterebbero in modo diverso.

Italia e Giappone sono culture affini per quanto riguarda l’atteggiamento verso i figli e l’attaccamento ai figli. Probabilmente è per questo che in Italia si vedono dei ragazzi hikikomori: chi sente la spinta al ritiro, cioè, trova nelle società e nelle culture italiana e giapponese le condizioni perché questo ritiro si verifichi.

Si tratta di una “cattiva” cultura familiare? Questa è una domanda molto importante. Da psicologo, vedo come i genitori spesso si sentano i responsabili delle difficoltà dei figli. Le cose, in realtà, sono sempre molto più complesse, e vanno in ogni caso al di là della volontà dei genitori e dei figli coinvolti.

La “colpa” non è della famiglia. Quello che si trova, invece, è che i genitori, quando si accorgono di cosa sta succedendo, si preoccupano molto e fanno il possibile per occuparsene.

Negli ultimi anni, il tema ha creato un grande fermento e sono diventati disponibili anche dati statistici che confermano quanto questo tipo di difficoltà sia diffuso anche nel nostro paese e le sue caratteristiche specifiche.

Ad esempio, è importante tenere a mente che esistono diversi livelli di ritiro sociale e affettivo. Bisogna parlare di hikikomori anche nel caso di ragazzi che non sono completamente ritirati (possono ad esempio mantenere rapporti conflittuali con la famiglia o un fragile legame con la scuola) ma che vivono delle dinamiche psicologiche in cui la vergogna, la difficoltà nel confronto con gli altri e il doloroso sentimento di non essere capititi sono dominanti e si manifestano con una tendenza al ritiro.

Questa tendenza non è sempre facile da individuare.

Sindrome di hikikomori: terapia. Psicologo per la cura dell’hikikomori a Padova e via Zoom.

Dott. Matteo Albertinelli, psicologo psicoterapeuta per hikikomori a Padova e via Zoom.

Nella mia esperienza clinica, vedo quanto sia importante partire dal contatto con la famiglia, in modo da costruire un ambiente che crei le basi per emergere dal ritiro a partire da casa.

Questo è confermato dai clinici italiani che ritengono la presa in carico psicologica della famiglia e il trattamento psicologico del ragazzo in hikikomori come la soluzione che oggi da le migliori speranze di ottenere risultati positivi (cfr. Spiniello, Pinotti, Comazzi, 2015, Il corpo in una stanza).

Questa è la base. Detto questo, per il ragazzo una terapia psicologica è necessaria: lo scopo è di elaborare assieme a lui i sentimenti penosi che lo hanno spinto al ritiro. Non è infrequente, però, che un ragazzo in hikikomori viva con fatica l’idea di iniziare un trattamento.

Allora può essere necessario un lento e rispettoso avvicinamento, che inizia dando alla famiglia il sostegno di cui ha bisogno e coinvolgendola in un lavoro coordinato che la aiuti a rientrare in dialogo con il figlio e favorirlo nel suo percorso di cambiamento.

[Ho scritto un articolo più dettagliato sul trattamento dei ragazzi in hikikomori]

Il trattamento è un passo molto importante in queste situazioni, e su questo è necessario insistere: da soli è molto difficile riuscire a stare meglio.

Che sia nello studio di Padova od online attraverso Zoom, il mio lavoro è aiutare le famiglie ad affrontare la complessa situazione che si chiama “sindrome hikikomori”.

Stare meglio si può.