Solitudine a tavola, autostima, felicità

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La ricerca: spunti

Mangiare da soli può essere un piacere.

Farlo sempre, è un’altra storia: uno studio recente ha messo in evidenza che le persone che mangiano sempre da sole sono significativamente meno felici della media nazionale (britannica).

 

Non è il primo risultato di questo tipo: sembra che la socializzazione dei pasti sia particolarmente collegata alla felicità e alla sensazione di essere socialmente ed emotivamente sostenuti dal proprio ambiente.

Sembra che i pasti siano occasioni particolarmente adatte a far sentire felici (condividere un’attività piacevole, mangiare, in un’atmosfera piacevole).

Perché questo è importante?

La solitudine è ritenuto, oggi, uno dei maggiori predittori di problemi di salute fisica e mentale, un fattore di rischio pesante quasi quanto il fumo. La capacità di formare amicizie, come abbiamo scritto di recente, è quindi un importante fattore protettivo per la propria salute.

 

 

Cosa significa questo, per la vita quotidiana?

Quando leggiamo un articolo simile, come psicologi clinici, spesso ci domandiamo quale sia la percezione che possono averne le persone che potrebbero essere nostri pazienti.

Molto di frequente le persone reagiscono dicendo che

  • si tratta di baggianate. In parte è vero, nel senso che non sono scoperte rivoluzionarie. Ma la scienza è fatta di questi necessari, piccoli passi che mettono sulla strada di idee che cambiano sostanzialmente il nostro modo di percepire fenomeni come la felicità e la solitudine.
  • “bisogna impegnarsi” o “sforzarsi” a comportarsi in un certo modo (ad esempio trovare della gente con cui mangiare) perché è meglio per sé. Questo, da un lato rappresenta un utile desiderio di fare qualcosa di buono per sé… però sappiamo per esperienza che sostanzialmente non porta ai risultati sperati.

Ci colpisce soprattutto questo secondo atteggiamento, per via della sua frequenza. Intanto si tratta di un atteggiamento pieno di sentimento di colpa:

Mannaggia a me, dovrei fare così invece faccio colà.”

e questa colpa rende ancora più inavvicinabile l’argomento (la colpa, cioè, lo rende sgradevole, una cosa da evitare).

L’elemento più importante, però è quello del cambiamento.

Si sente di dover fare qualcosa per stare meglio, ad esempio sforzarsi di trovare delle occasioni in cui condividere i pasti. Il problema non è davvero avere compagnia ai pasti, però.

 

La domanda che dovremmo farci è:

Come sono queste persone che riescono ad avere sempre qualcuno con cui condividere i pasti?”

Cercare di trovare qualcuno con cui condividere i pasti, senza essere una persona che ha sempre qualcuno con cui condividere i pasti è destinato ad un probabile fallimento.

Nel primo caso si prova ad imitare un comportamento, superficialmente. Ma chi sente di non avere, normalmente, qualcuno con cui condividere i pasti, da dove partirà? A chi chiederà questa condivisione? Con quale fiducia di trovare qualcuno? Con che possibilità di farlo spesso? E rinuncerà volentieri ai propri impegni, che solitamente, magari, lo tengono lontano dagli altri?

La condivisione dei pasti, cioè, è la punta dell’iceberg:

  • perché solitamente non si ha qualcuno con cui condividere i pasti?
  • ci si sente abbastanza interessanti per avere qualcuno con cui condividere i pasti?
  • si ha voglia di avere qualcuno intorno durante i pasti o sarebbe seccante?

Queste sono (alcune) domande fondamentali.

La condivisione dei pasti è l’espressione di questi atteggiamenti interiori (chiaramente se si è reduci da un solitario trasloco in una città nuova il discorso cambia, ma nella maggior parte dei casi il problema non è la reale disponibilità di persone con cui poter mangiare).

Sforzarsi di cambiare un aspetto isolato della propria vita spesso porta al fallimento proprio perché ci sono atteggiamenti, idee ed emozioni che interferiscono con il cambiamento.

Ad esempio, rispetto al tema della solitudine abbiamo scritto di come la sensazione che gli altri possano essere poco interessati a noi possa portare una persona a sentire di avere difficoltà a relazionarsi con gli altri.

Il problema, in questo caso, non è conoscere altra gente a tutti i costi: molto spesso chi è in questa situazione è -comprensibilmente- molto sfiduciato davanti a questa idea. Il problema è sentirsi adeguati a conoscere persone nuove, sentire di poterlo fare.
Il caso della condivisione dei pasti può essere simile, letto dal punto di vista della stima di sé: quali atteggiamenti impediscono di avere qualcuno a tavola con sé? Se vogliamo essere inspirational, possiamo dire: quali atteggiamenti impediscono di essere felici?

Pensare alla questione da questo punto di vista è più doloroso e faticoso, ma sicuramente più fruttuoso.

 

Ci siamo ispirati ad un articolo del Guardian.