Mi vergogno di come sono

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Mi vergogno di come sono.

Ci sono situazioni in cui il pensiero “Mi vergogno di come sono” diventa qualcosa di centrale. Tutto, nella propria vita, sembra rimandare a questa convinzione.

Ci può essere stato qualche evento difficile da superare. A volte, come può ricordare qualche amico pieno di buone intenzioni, questi problemi non sono stati più impegnativi di quelli della vita della maggior parte delle persone.

È anche vero, ci si trova a pensare, ma la sensazione di fondo non cambia: “sono chiaramente un fallimento, e me ne vergogno”.

L’essere rassicurati sul fatto che non si è poi così terribili ha l’effetto di far sentire peggio.

Mi lamento per niente.

Non sono capace di affrontare le cose che tutti affrontano.

e di procurare un certo fastidio e rabbia: sarà una cosa da poco per altri, ma per me no, e a star male sono io.

Chi arriva a dirsi e ripetersi incessantemente “Mi vergogno di come sono” è pienamente sincero, quando dice che difficoltà apparentemente banali gli sembrano insopportabili. Poco importa se si tratta di problemi “oggettivamente” da poco: sono soggettivamente enormi, e la cosa non si può risolvere con uno sforzo di volontà.

Quali eventi

Le situazioni di cui chi sente di vergognarsi in questo modo così profondo soffre sono innanzitutto quelle che comportano la percezione di un fallimento:

  • Conclusione di una relazione amorosa o affettiva (un’amicizia)
  • Difficoltà nel lavoro

La spiegazione che viene data è semplice e lapidaria:

A me le cose non vanno mai bene.”

“’C’è qualcosa in me che non va.”

Sbaglio sempre.”

Non si è stati sufficientemente attenti al partner, non si è sufficientemente bravi, competenti, furbi, capaci.

Si può girarci attorno quanto si vuole, trovare anche delle spiegazioni e delle giustificazioni convincenti e logiche, ma la convinzione di fondo rimane quella: sono una persona sbagliata. Le cose vanno male perché sono io a non andare bene.

Ci si sente costantemente in difetto.

Quando viene trovata una spiegazione convincente di quali potrebbero essere le ragioni di un obiettivo mancato (come un progetto di lavoro che naufraga dopo tanto impegno, o una storia d’amore chiusa dopo che ci si è spesi tanto per il partner) accade qualcosa di sorprendente. Le spiegazioni sembrano sensate, effettivamente la situazione era complicata e la possibilità di un fallimento era da mettere in conto… eppure questo non basta.

Le spiegazioni oggettive non sono soddisfacenti. Che le cose vadano bene o male, dal punto di vista oggettivo ha un’importanza quasi relativa; resta sempre la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato, che ci si sia comportati male, anche quando tutto sembrerebbe indicare il contrario.

Ci si è sforzati di essere corretti.

Di essere attenti.

Gentili, cordiali, disponibili.

Ed immancabile, giunge la delusione.

E da qui, la sensazione che per quanto ci si impegni, non sia mai abbastanza.

E ancora accuse

Inizia, allora, la sequenza delle recriminazioni.

Non ci si sente adeguati nemmeno dal punto di vista del fisico (altra situazione in cui le rassicurazioni affettuose delle persone vicine non hanno il potere di fornire un ristoro duraturo). Il proprio corpo non sembra mai abbastanza per gli altri.  Essere guardati con interesse e piacere è percepito come qualcosa di quasi impensabile.

Questa situazione di mortificazione crea una specie di pantano, in cui è difficile muoversi.

Si ha la forte sensazione di sprecare il tempo, di non combinare nulla di buono e nulla che permetta di cambiare le proprie sorti. La storia è sempre quella, sempre uguale in ogni situazione: “mi vergogno di come sono”.

E questa percezione di sé non concede tregua, nemmeno nella tristezza, finendo per rimproverarsi anche di lamentarsi sempre.

Una luogo lontano dalle accuse

Queste accuse, poi, non bastano. Dopo essersi presi a male parole, spesso non si sente di meritarsi un po’ di riposo e conforto; si inizia a pensare di dover farsi perdonare.

Si cerca, cioè, un modo per rendersi accettabili per gli altri. Sentendosi così inadeguati, è forte la sfiducia nella possibilità di trovare qualcuno di ben disposto ad ascoltare e condividere del tempo.

Questa è una delle paure ed inibizioni che ruotano attorno alla sensazione di vergogna e che rendono amara la vita di chi ha queste difficoltà.

È così forte la convinzione di non essere delle buone persone che si pensa che anche per gli altri non possa che essere così.

Questo, ovviamente, ha l’esito di rendere complicato ogni forma di avvicinamento agli altri, perché bisogna lottare contro il normale imbarazzo, scontato quando ci si approccia a qualcuno di nuovo, e la convinzione che, se si viene rifiutati, è comprensibile: il primo a rifiutarsi è chi si sente così brutto e indegno di attenzione.

Questo vale anche per altre ambizioni e desideri: quanto è facile può essere avere fiducia in un proprio progetto, se si ha la sensazione che da sé vengano solo cose negative?

C’è un altro fatto importante che crea serie difficoltà nei rapporti con gli altri e con le proprie ambizioni: la sensazione che il fallimento non sia accettabile.

Da un certo punto di vista, questo è vero. Solo che è vero in quanto il fallimento è inaccettabile per sé: ci si può sentire così male quando si fallisce, che avere dei desideri può richiedere una fatica molto grande, e far incorrere in un senso di punizione che mette a dura prova la serenità personale.

Non si sente nemmeno di poter essere un po’ compatiti e di potersi lamentare; si provano, insomma, dei forti sentimenti di depressione.

Rabbia e vergogna

La percezione della propria fragilità è una cosa odiosa, una cosa capace di produrre una forte rabbia.

Sulla scia di questa rabbia, talvolta ci si concede di fare delle scelte, di imporsi e fare qualcosa per sé. Non è raro che questi momenti di libertà siano percepiti, successivamente, come qualcosa da punire e cancellare.

Questo accade proprio perché il sentimento dominante rimane comunque quello della vergogna, mentre la rabbia, per quanto possa essere frequente, esiste in risposta alla vergogna.

La rabbia è come dire “No!”, quando si pensa “Mi vergogno di come sono”, come rifiuto totale quando, in momenti difficili si arriva a pensare “Mi faccio schifo come persona”.

Queste descrizioni impietose di sé hanno un doppio esito: da un lato usurano e fanno soffrire, dall’altro sono così oltraggiose da spingere chi le pensa a prendersi cura di sé.

Cosa si può fare?

Non ho la forza di reagire.

C’è una forte sensazione di stanchezza ed esaurimento. La vergogna, quando è un aspetto così dominante della propria vita, è estenuante, ed è una fonte di limitazioni che, fortunatamente, ad un certo punto diventano inaccettabili.

Arrivare ad un punto di rottura, in cui non si sopporta più la situazione, può essere il motore per rimettersi in piedi.

Quando chi vive questo tipo di difficoltà riesce a chiamare uno psicologo, solitamente dopo molta indecisione, non è raro che faccia difficoltà a parlare di queste sue forti emozioni.

L’incontro con lo psicologo è avvertito come una situazione molto rischiosa, dal punto di vista dell’autostima: ci si espone in tutta la propria fragilità, e si teme il rischio di trovare qualcuno che giudichi, che irrida, che sottovaluti o che scavi troppo a fondo, in un modo percepito come intollerabile.

L’esperienza con persone con questo tipo di difficoltà ci ha resi consapevoli di quanto sia necessario prima di tutto cercare un equilibrio che permetta di lavorare, e di farlo in tempi e modi accettabili per la persona che abbiamo davanti.

Sono esperienze dolorose, quelle che ci vengono raccontate, ma sono anche le esperienze che hanno contribuito a fare di una persona quello che è. Vanno trattate con rispetto, e riconosciute come qualcosa di importante ma così difficile da affrontare che il paziente non è mai riuscito a venirvi a patti.

Ci troviamo davanti a qualcuno che si sente sbagliato, noi proponiamo di trasformare questo senso di mortificazione in un problema da affrontare nel modi possibili.

Questo è un aspetto fondamentale: il lavoro psicologico con queste difficoltà come lo proponiamo noi non punta ad estirpare una parte malata della propria vita. Questo non è possibile. È possibile, invece, fare in modo di rimettere al proprio servizio le esperienze negative, trasformandole in qualcosa di utile per sé.

È possibile imparare dalle situazioni vissute come mortificazioni. Cosa si impara? A stare il meglio possibile. A conoscersi a fondo e cercare di ottenere quello che si desidera.

Per arrivare a questo obiettivo, chiaramente, è necessario costruire una base di sicurezza e serenità, una condizione in cui le autoaccuse possono cedere man mano il passo ai desideri.