Mio figlio adolescente mi picchia

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Un ragazzo violento

Un figlio adolescente che picchia è un’esperienza disturbante per i genitori.

Sicuramente dolorosa, e qui non c’è dubbio, ma è importante sottolineare “imbarazzante” e “disturbante”. Sono emozioni che complicano la situazione e allo stesso tempo ne colgono il nocciolo: i genitori stanno male per quello che accade, ma hanno anche l’impressione di trovarsi davanti a qualcosa di sbagliato.

È proprio questa situazione indigesta a portare i genitori a domandarsi se abbiano sbagliato loro, in che cosa, cosa avrebbero potuto fare di diverso…

Oppure, emerge in loro un’ipotesi preoccupata: è il figlio ad essere in qualche modo sbagliato, di carattere, o di natura, o per qualche frequentazione che l’ha influenzato.

Inizia, insomma, una faticosa ricerca di una causa che si trasforma presto nella ricerca di una colpa.

La situazione

Tutto può iniziare con delle crisi violente, in cui il ragazzo (solitamente maschio) urla e si sfoga rompendo gli oggetti della casa familiare.

Queste situazioni creano confusione e panico: prima non era successo niente che facesse pensare che il ragazzo potesse comportarsi in quel modo.

Solitamente inizia a farne prima le spese è il genitore superficialmente percepito come debole, fisicamente ed emotivamente: la madre.

La madre viene coperta di insulti, minacciata, aggredita, fatta oggetto di violenza. [Ho scritto un articolo dove entro più nello specifico dell’aggressività che investe la madre]

Questo genitore spesso reagisce all’aggressione verbale e fisica del figlio con un desiderio di vicinanza e aiuto nei confronti del figlio. Tenta di ascoltare, capire, proporre, tendere la mano, solitamente ottenendo il risultato di aumentare ancora di più l’irritazione dell’adolescente.

In questi casi l’adolescente viene lasciato libero di sfogarsi, per paura che ogni intervento possa peggiorare la situazione e fare aumentare la rabbia.

Il tentativo di comportarsi come un buon genitore, ci si accorge presto, non solo non sortisce risultati positivi, ma viene punito.

La famiglia può anche tentare di mettere in atto un altro genere di strategia, di tutt’altro tipo: la repressione.

Tentare di fermare fisicamente il figlio, chiamate allarmate alle forze dell’ordine: si cerca di controllare l’escalation violenta, di fermarla. Insomma, di fare qualcosa.

Capire la situazione

Queste due strategie genitoriali sono solo apparentemente in contrasto: i genitori, in un modo o nell’altro, cercano di riavere indietro il figlio di prima, quello desiderato, normale. Con le buone o con le cattive. Cioè: le si provano tutte, un po’ disperatamente.

I genitori sono confusi davanti a degli eventi che non riescono a spiegarsi, amareggiati e dispiaciuti per la distanza che si viene a creare col figlio e si sentono sotto tiro: cosa direbbero gli altri di questa situazione?

Ecco che ritorna l’impressione di qualcosa di strano, sbagliato: al limite, se proprio vogliamo dirlo, dovrebbe essere l’adulto ad alzare le mani. E invece sta lì a prenderle.

Insomma, la faccenda strana è l’inversione di ruoli che è venuta a crearsi.

Proverei ad entrare più nel dettaglio: chi si occupa di un bambino, vive una normale asimmetria: si prende cura di qualcuno che non è in grado di provvedere da sé ai propri bisogni. Nel caso dell’adolescente questa asimmetria diventa più sfumata. Quando ha bisogno di sostegno? Quando deve essere lasciato sperimentare? Che limiti dargli e darsi? Quando dire no?

Nei casi di violenza in cui un figlio adolescente picchia un genitore, sembra essere il ragazzo ad “occuparsi” dei genitori. Da lui dipende se loro stanno male o bene, come devono comportarsi e cosa possono e non possono fare (che argomenti trattare con lui, con che tono, se lamentarsi di una camera in disordine o di un brutto voto, etc…).

I genitori vengono spodestati dalla loro posizione dominante. Bruscamente.

La cosa fondamentale

Nello stupore, nella preoccupazione e dolore, però, i genitori rischiano di dimenticarsi di una cosa: il figlio adolescente non ha le risorse necessarie per fare il bello e il cattivo tempo, per fare come se fosse più grande di loro, punirli e umiliarli. È impari al compito.

Si tratta di una situazione molto faticosa, per il ragazzo: deve fare l’adulto, quello grande, anche più grande dei suoi genitori.

Perché, però, la sua immagine di persona adulta è quella di qualcuno che picchia i più deboli? (e i genitori come si sentono? Deboli o forti? E lui come li vede?)

Perché si è dato una missione del genere?

Una delle missioni fondamentali, si può dire la missione fondamentale dell’adolescente, è crescere. Questa inversione è anch’essa una via per cercare di compiere la missione fondamentale di diventare adulto.

L’adolescente di cui stiamo parlando la interpreta sicuramente in un modo molto particolare, come abbiamo visto. È impegnato in una sorta di super-crescita, che sente urgente ed obbligata. Come se dovesse recitare la parte dell’adulto… ma cosa impedisce di diventare anche a lui un adulto seguendo i normali tempi della crescita?

Qualcosa impedisce che crescita del figlio adolescente che picchia avvenga nei modi più consueti. Questo qualcosa viene da dentro di lui, certamente, e certamente ha anche a che fare con quello che è successo nella sua vita. Non è possibile, però, trovare nessuna colpa definitiva, nessun vero evento scatenante.

Durante l’aggressione il figlio pensa di aver ragione, e pretende che sia il genitore a riconoscere le proprie colpe. È necessario tenere a mente che il figlio pensa e sente di aver ragione. Quello che fa, cioè, è volto alla ricerca di far cessare una forte angoscia: o si va avanti con le cattive, o la mia crescita non può avvenire.

Lo sfogo sulla famiglia consente di mettere l’angoscia a tacere, ma in un modo inefficace: l’angoscia si ripresenta, e il ragazzo cerca di nuovo di liberarsene con la violenza in famiglia.

I genitori, stanchi e preoccupati, hanno allora un’occasione per prendersi carico della faccenda: se il figlio, in un modo confuso, sfoga su di loro la propria angoscia, loro si trovano nella difficile posizione di dover far qualcosa di questa angoscia che viene comunicata loro.

Cosa si può fare?

Facendo il tiranno, l’adolescente si trova in balia della propria rabbiosità. Se è penoso lo stato che porta agli episodi violenti, è altrettanto penoso quello che solitamente accade dopo. Emerge in lui la sensazione di essere un cattivo figlio.

Neanche lui è contento della situazione.

Però c’è qualcosa che lo spinge, quasi lo obbliga alle esplosioni violente, rivolte verso gli adulti come a cercare una soluzione di questi stati interni tormentosi. È una richiesta urgente, quella di questo adolescente, e la preoccupazione e il dolore dei genitori sono la possibile via d’uscita.

L’affannarsi a capire e a cercare una soluzione, nei genitori, è l’elemento cardine, il punto da cui partire per riconoscere le difficoltà (affrontabili) di una famiglia e per affrontarle “lì dove il dente duole”, cioè dando:

  • Sostegno all’adolescente che tenta, come può, di crescere
  • Sollievo alla famiglia che ha il compito di sostenerlo nella crescita

La ricerca di aiuto psicologico per il ragazzo e per la famiglia è la concretizzazione della  ricerca di una soluzione.

Le situazioni di sofferenza possono diventare occasioni. Rafforzare la famiglia, aiutare un adolescente a crescere: è qualcosa di più di risolvere un problema.