Scarsa autostima: colpa dei genitori?

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È sicuramente vero che genitori hanno ruolo fondamentale nel garantire sufficiente autostima ad un figlio.

La maggior parte dei contributi alla formazione dell’autostima di un figlio passano attraverso le attività quotidiane, soprattutto se condivise con altre persone.

Queste attività contribuiscono all’autostima quando restituiscono a chi le svolge un’immagine di sé come soggetto competente ed amato, qualcuno che può essere orgoglioso di sé perché capace di dare soddisfazione contemporaneamente a se stesso e alle persone importanti per lui.

Genitori in primis.

Scarsa autostima: è colpa dei genitori?

La maggior parte dei genitori, solitamente, fa cose ragionevolmente giuste e le fa in modo istintivo.

Ne sono esempi le situazioni in cui i genitori

  • rispondono con entusiasmo ai primi passi di un bambino,
  • a quando si mostrano orgogliosi della sua sensibilità,
  • quando inizia a essere abbastanza grande da voler fare con lui discorsi da grandi.

Si tratta di piccole azioni che riconoscono valore a qualcuno che sta cercando di capire quali siano le parti più belle di sé, quelle da coltivare perché gli apriranno le porte dei rapporti con gli altri.

Cioè, da un rapporto di felice riconoscimento di valore da parte dei genitori nasce l’aspettativa che di ricevere riscontri positivi anche dalle altre persone della propria vita.

Ovviamente questo è un processo che può andare incontro a degli incidenti.

Scarsa autostima, incidenti con i genitori

Il doloroso incidente che si verifica più di frequente, dal punto di vista della formazione dell’autostima, non è quello della mancanza macroscopica, ma delle incomprensioni ripetute.

Cioè, può capitare che genitori ragionevolmente capaci non riescano però a trovare la corretta sintonizzazione con gli specifici bisogni di un figlio.

Un esempio: alcuni adolescenti possono fare particolarmente fatica a scendere a patti con il loro nuovo corpo, attrezzato per la sessualità, e possono avere bisogno di una dose supplementare di sostegno per non sentirsi inadeguati.

Possono avere particolarmente bisogno di riceverlo dai genitori, poi, nel caso in cui non abbiano a disposizione gli amici giusti o altre figure che possano svolgere questa funzione.

Immaginiamo una situazione in cui il dialogo con i genitori sulla faccenda sia impossibile, anche solo perché il genitore con cui è abituato a confrontarsi di più (che spesso è la mamma) è per sua indole e storia personale una persona particolarmente riservata sul tema della sessualità.

In una situazione del genere, c’è il rischio che il ragazzo ritrovi le condizioni per fare una lettura distorta di quello che accade: dato che dentro di lui c’è una paura di essere inadeguato, c’è il rischio che interpreti
il rifiuto, la difficoltà comunicativa dell’adulto come una conferma.

È come se si trattasse del rifiuto di una parte di lui e non di un discorso che è difficile per l’adulto per ragioni indipendenti da lui.

[Ho scritto uno specifico articolo sulla mancanza di autostima in adolescenza.]

Scarsa autostima: difficoltà dei genitori

Spesso, all’origine di esperienze relazionali che minano l’autostima ci sono tematiche difficili da affrontare per il genitore, un po’ come accade nell’esempio proposto poco sopra.

Il genitore, cioè, si impegna per sostenere il figlio, ma deve contemporaneamente lottare contro delle forze interne che glielo rendono difficile, suscitando, ad esempio, ansia davanti ad una specifica tematica.

[Ho scritto degli articoli più specifici sull’ansia che può nascere dal rapporto con un figlio o che deriva dalla preoccupazione per cose come fa, come i voti scolastici.]

C’è un’altra situazione piuttosto frequente che finisce per avere risultati simili e che ha un aspetto piuttosto paradossale: il desiderio dei genitori di dare appoggio totale e acritico ai figli.

Lodare ogni iniziativa di un figlio, evitare di insistere sui suoi difetti e sforzarsi a tutti i costi di non risultare autoritari sono tutte iniziative che sono promosse dalle migliori intenzioni.

Hanno però un difetto di cui è difficile accorgersi: tendono a produrre nel figlio così tanto appoggiato in tutto un’altra deformazione, cioè la percezione che un suo sbaglio sarebbe inaccettabile.

Proprio il fatto di non esporre una persona a delle esperienze frustranti, cioè, rischia di non immunizzarla davanti a questo tipo di esperienza e di farle pensare che gli unici esiti accettabili delle sue azioni siano quelli positivi, i successi.

Il caso più delicato, però, quello in cui un genitore rischia maggiormente di produrre delle carenze nell’autostima del figlio, ad ogni modo, rimane quello in cui il genitore stia affrontando delle difficoltà di carattere emotivo che lo rendono poco disponibile al contatto emotivo con il figlio, come la depressione ad esempio.

In questi casi, c’è il rischio che il fatto di non essere emotivamente disponibili venga percepito come un rifiuto, più come una critica attiva che come una mancanza delle forze necessarie per poterci essere.

Scarsa autostima: spiegarsi cosa è successo con i genitori

Il tema dell’autostima è qualcosa di immensamente complesso, come tanti aspetti della vita psicologica.

[Ho scritto un articolo che riassume le caratteristiche fondamentali dell’autostima e ne elenco alcune situazioni di bassa autostima.]

È qualcosa in cui entrano in gioco aspetti della personalità del figlio e come questi si incastrano con quella dei genitori, oltre che nell’ambiente sociale di appartenenza.

Si tratta di faccende così complesse che è normale non accorgersi del peso che alcune parole hanno sui figli fino a che non si vedono concretamente gli effetti della mancata sintonizzazione.

A quel punto ci può essere una presa di coscienza improvvisa e, se non si prova troppa ansia, si riesce a fare qualcosa per correggere il tiro. (Ovviamente un aiuto esterno è utile in questo, visto che si tratta di modificare modi di pensare e comportamenti che sono in larga parte automatici).

Dal punto di vista di un figlio che sente che genitori hanno danneggiato la sua autostima e che magari riflette su queste questioni una volta diventato adulto, questo discorso può essere piuttosto indigesto.

Dal punto di vista del figlio si tratta di pensare ad un’esperienza vissuta come deprivante.

Essere arrabbiati è normale e anche utile, in un certo senso.

La rabbia, se non è troppo forte, può essere un utile strumento di sopravvivenza per reclamare il diritto a quell’amor proprio che per anni si è trovato normale mettere in discussione.

Quando si recupera questa autostima, però, spesso si riesce ad avvertire come meno radicale l’odio per i genitori, perché la ferita da cui sgorgava è almeno parzialmente rimarginata.

Oppure quello che può accadere è che ci si mette perlomeno in condizione di farsi fare il meno male possibile: l’incontro con i genitori può essere doloroso, se non sono in grado di prendere faticosamente consapevolezza del loro ruolo in questa situazione, ma si può imparare a creare le condizioni per tutelare quelle parti di sé su cui in passato ci si è sentiti prevaricati.