Mio figlio non ha interessi – apatia, adolescenza e psicologia

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Mio figlio non ha interessi – apatia, adolescenza e psicologia

Il libro Gli Sdraiati dell’ormai lontano 2013 ha avuto un successo clamoroso: ha descritto in modo efficacissimo una generazione apparentemente passiva, apatica che si incontra e scontra con una generazione per cui l’adolescenza aveva avuto tutto un altro aspetto. Se necessariamente in termini di motorini, contestazione e fastidio verso i grandi, almeno i genitori di questi adolescenti sdraiati ricordavano che ai lori tempi i ragazzi manifestavano una certa voglia dirompente di afferrare la vita e sentirsi liberi.

Mio figlio non ha interessi”, oggi sembra essere diventata una osservazione rassegnata che rappresenta la perplessità di molti genitori davanti agli adolescenti di oggi.

Questa apatia, mancanza di interessi, passività e apparente imperturbabilità dell’adolescente ha un suo scopo, però e anche una sua utilità.

Anzi, per essere precisi, si può dire che ci sono buone e cattive forme di apatia giovanile, cioè espressioni di apatia capaci di sostenere l’adolescente ed altre che lo ostacolano nella sua crescita.

Una psicologia della buona apatia giovanile

Mio figlio non ha interessi… a ben vedere, mica solo il mio però…!

Gli adolescenti di oggi, molto spesso, non brillano di spirito contestatario e ribelle; questo non vuol dire che ribellione e contestazione, che in qualche misura fanno sempre parte dell’adolescenza, in loro non esistano.

L’adolescente che non ha interessi vuole comunicare un’immagine di sé che contiene caratteristiche radicali: indifferenza, distacco, disinteresse per quello che gli si dice. Questi sono modi molto efficaci per esasperare i genitori e creare un conflitto con loro.

Un conflitto particolare, fatto non di grandi litigate, ma di opposizione passiva. Il succo della “contestazione” rimane però: “Non trovo giusto quello che vuoi da me e non lo farò”.

Questa stringata spiegazione, però, si può attirare una giusta critica, grossomodo del tipo:

Bella contestazione questa. È proprio una generazione perduta se son capaci solo di non far niente”.

Al che, va fatta una precisazione: se un adolescente sceglie l’apatia come la propria forma di ribellione adolescenziale, è proprio per segnalare che cosa rifiuta e, come è sempre stato, si tratta di cose che per i genitori sono importanti: il loro interessamento, la loro apprensione, la loro ansia il loro volerlo vedere come piccolo da proteggere e guidare affettuosamente. [qui un breve articolo sull’ansia materna]

La mancanza di interessi (che spesso è apparente), l’apatia, sono richieste di mollare l’osso, di non stargli troppo sotto, di lasciarlo fare a lui.

È un messaggio: “Più insisti, meno ci sarò”. “Più vorrai comunicarmi cosa devo fare, meno riuscirai a far presa”.

Un messaggio che ha anche una funzione di specchio:

Davanti a me quando sono apatico ti senti disarmato; bene, così puoi capire quanto io mi senta disorientato davanti alle tua apprensione quando pensi che io sia diverso da come mi vuoi. Sono disposto anche ad azzerarmi, pur di non ubbidire!”.

È questo che accade, negli adolescenti di oggi? Meglio auto-annullati che schiavi dei desideri dei genitori?

Iniziare a distinguere

Possiamo anche dire che è così, basta che non lo sia sempre. Quello che intendo dire, è che sicuramente questa tendenza all’apatia esiste negli adolescenti e più in quelli di oggi che in quelli delle generazioni passate. Bisogna però tenere a mente che si tratta, nella maggior parte dei casi, di episodi che si alternano a situazioni in cui un adolescente si mostra interessato, allegro, capace ed anche ribelle.

Non ha senso, cioè, dire che la vera e propria ribellione sia scomparsa: è più utile dire che sia passata in secondo piano e che, più spesso, tenda ad esprimersi in modi meno turbolenti, come con un atteggiamento apatico.

L’aspetto fondamentale di questo tipo di apatia transitoria o episodica è che, per quanto sgradevole, sia un qualcosa che riesce ad essere di sostegno alla crescita dell’adolescente.

Essere apatico può essere un modo di dire di no ai genitori e di costruire, parallelamente, una propria personalità.

Allo stesso tempo, è un modo per comunicare con i genitori: “Lasciami stare e lasciami spazio. Se mi stai troppo vicino, non sento di riuscire a crescere. Visto che se mi mostro problematico tu ti mostri interessato a quello che mi succede, mi costringi a trovare un modo per non farmi leggere dentro. Ho bisogno di isolarmi da te”.

Certo, quando non si tratta di episodi passeggeri o di fasi, la faccenda cambia.

Mio figlio non vuole fare niente. Mai.

[Nel video parlo degli aspetti psicologici dell’apatia. Video con sottotitoli.]

Come dicevo, la normale apatia è uno strumento che l’adolescente mette in campo per industriarsi a crescere.
Ci sono adolescenti, però, che hanno una tendenza all’apatia che sembra essere dominante, all’interno della loro personalità.

Mio figlio non ha interessi; per quanto provi, sembra che nulla riesca a dargli soddisfazione”.

Quando l’apatia diventa una modalità di pensiero e azione ricorrente e quasi inamovibile, bisogna considerare di trovarsi davanti ad una normale espressione del processo di crescita.

Bisogna chiedersi, invece, se non ci si trovi di fronte ad un arresto di questo processo.

In alcuni adolescenti, essere apatico significa mettersi di impegno per creare un un denso muro di nulla allo scopo di tenere a distanza gli altri, le loro attenzioni e i loro presenza.

In queste situazioni, ci si accorge spesso che non ci si trova davanti ad un’espressione di vera mancanza di interessi, di indifferenza per ogni tipo di attività e per le persone che vi sarebbero coinvolte.

Siamo più vicini al contrario, cioè ad un’iperattenzione davanti al fatto che:

  • svolgere un’attività significa immaginarne l’esito e sentirsi ragionevolmente capaci di portarla a termine con successo. (Se si teme di finire a pensare molto male di sé, può diventare preferibile non impegnarsi in nulla).
  • Svolgere una qualche attività significa anche avere degli spettatori, reali o potenziali, che hanno la facoltà di osservare e giudicare. (Di nuovo, se la tendenza del ragazzo è quella di avere un’immagine negativa di sé, sfuggire allo sguardo altrui può diventare importante).

Quello che intendo dire, è che uno degli scopi più frequenti di un’apparente radicale mancanza di interessi/apatia è quello di tutelare la propria autostima.

Se non faccio niente, non posso sbagliare”.

L’aspetto più importante, qui, è che l’apatia viene utilizzata per proteggersi dalla prospettiva di venire ferito. E le prime opinioni a ferire un ragazzo con un’autostima carente sono quelle, spesso impietose, del ragazzo stesso.

Varie espressioni dell’apatia “autoprotettiva”

Una legittima domanda, ora, potrebbe essere: come individuare quando una situazioni di apatia ha una funzione autoprotettiva, cioè di evitamento di una sofferenza temuta?

L’aspetto principale è che l’apatia è di rado l’unica espressione delle difficoltà di un adolescente.

Può essere legata, ad esempio, a condizioni di depressione in cui a preoccupare può essere, ad esempio, il fatto di vedere il figlio che non si alza dal letto o che diventa marcatamente rabbioso. Elementi che solo in un secondo momento, quando emergono delle espressioni di sofferenza, magari proprio sotto forma di tristezza, è possibile ricondurre ad una difficoltà emotiva più ampia.

Sono frequenti, un po’ come accennavo prima, le forme di apatia ricollegabili ai problemi della sfera relazionale adolescenziale. Un adolescente che non ha amici e che ha difficoltà ad entrare in contatto con gli altri (in particolar modo con i coetanei) può sembrare spesso pigro e disinteressato, prima che sia possibile accorgersi che quello che esprime nei confronti della socialità non è disinteresse, ma una paura di non potervi accedere.

Quest’ultima categoria si mescola spesso con un’altra forma di apparente “pigrizia”, quella legata ad un’indifferenza per la scuola che nasconde delle difficoltà legate alla scuola come luogo in cui viene misurate le sue abilità (quanto lui sia, globalmente, “bravo”) e, di nuovo, in cui viene misurata la capacità di sopportare il contatto con gli altri.

Le situazioni di difficoltà scolastiche o, per i ragazzi più grandi, lavorative, sono fra quelle che portano alle tensioni più forti all’interno delle famigli, in particolare quando ci si trova davanti ad un ragazzo che non studia o non lavora. In queste situazioni, la legittima urgenza dei genitori di partire dai dati più concreti, di chiedersi come comportarsi davanti ad un ragazzo “che non fa niente” porta di frequente ad impegnarsi per tentare di accelerare l’evoluzione della situazione lasciando in secondo piano gli aspetti emotivi. Il problema più importante e doloroso è che quando sono proprio gli aspetti emotivi a rappresentare il vero motore della difficoltà scolastico-lavorativa è molto difficile che qualcosa cambi senza che prima ci si occupi proprio di questo.

“Mio figlio è apatico: cosa fare?”

Dopo aver dato alcuni spunti sugli aspetti psicologici delle situazioni di apatia più radicata, mi sembra importante spendere alcune righe su quali siano gli atteggiamenti che aiutano a bussare discretamente alle porte dell’adolescente aumentando le possibilità di essere uditi.

Non si tratta, chiaramente, di formule precise o di prescrizioni: non sarebbe possibile, visto che ciascun ragazzo è cosa a sé, apatico o meno.

Ci sono però alcuni atteggiamenti che, se tenuti a mente, riescono soprattutto a migliorare la comprensione dei modi di sentire di questi ragazzi.

Se la prospettiva in cui ci muoviamo è quella della difficoltà di contatto con gli altri, questo non vuol dire che ci sia una totale impermeabilità a tutti gli stimoli relazionali (anzi, come proponevo più sopra, ha più senso pensare il contrario, ossia che sia presente un’ipersensibilità relazionale).

Questo è particolarmente importante perché se si riesce a figurarsi questo adolescente in difficoltà come un soggetto in ascolto, diventa più facile approcciarsi a lui con fiducia.

Si può mostrare che si pensa che lui ascolti, anche se non dà segnale di farlo e che si è disposti ad attendere un suo “via libera” perché lo scambio interattivo possa venire un po’ aumentato di intensità.

Un altro dato importante è il fatto che questo approccio fiducioso contiene una grossa promessa, per lui; la promessa di un contatto rispettoso e attento (ossia il contrario di ciò di cui probabilmente si attende).

Ha senso approcciarsi a questo contatto immaginandolo come qualcosa di molto desiderabile per il ragazzo e proprio per questo ha senso attendersi che possa desiderare di mettere alla prova l’affidabilità della promessa (e agire di conseguenza): insomma, ci tiene così tanto da volersi assicurare che tenga.

E qui, nuove incomprensioni saranno da mettere in conto, ma è normale che sia così.

Fa, anzi, parte del processo di ricostruzione condivisa di un rapporto fra persone che è legittimo abbiano quei difetti che lui fatica a concedersi di mostrare.