Depressione non ce la faccio più

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Depressione: non ce la faccio più!

Non è raro che qualche amico, o qualche conoscente, pensi di dare un suggerimento:

“Reagisci!”

Per chi è depresso, è un pugno nello stomaco.

ReagisciMa non ce la faccio. Non c’è la faccio più!

Chi è depresso vive una situazione che va al di là della tristezza, ed è difficile da comprendere per chi la vede da fuori.

Anche per chi soffre di depressione non è sempre chiaro che non è possibile farne una questione di volontà.

Anzi, spesso anche chi è depresso si sente in colpa di non riuscire a “reagire”.

Ecco: il consiglio di “reagire” peggiora le cose.

Viene vissuto come un’accusa,

  • sia che venga da un altro: “non ti impegni a stare meglio
  • sia che venga dal se stessi: “non sono capace di stare bene

Non c’è sforzo che tenga: quando c’è una depressione, la sofferenza va oltre alla capacità di voler star meglio.

Quando chi ne soffre ne prende consapevolezza, l’idea risulta piuttosto spaventosa.

Allora non è un periodo storto…

Davvero non basta non pensarci fino a che non passa da sé…

Ci si accorge, insomma, di stare male sul serio.

Tutte le attività sono percepite come impegni gravosi. Non si ha voglia di alzarsi dal letto, gli impegni quotidiani vengono procrastinati, si è meno presenti per gli amici ed i familiari.

Pigrizia? Indifferenza? Chi è depresso sperimenta quanto queste cose, normalmente considerate banali, diventino un peso.

Un peso fisico. Si avverte una stanchezza profonda che inibisce ogni iniziativa. Una situazione in cui ci si sente completamente privi di energia, e fare ogni cosa è un’impresa.

Non si sente d’altra parte, un gran piacere in nulla di tutto questo: la felicità è appannata da un senso di esaurimento che fa venire voglia unicamente di stare fermi.

Mancano anche le energie per cose che sembrano banali: può mancare la voglia di lavarsi, di mangiare.

Non ce la faccio più a vivere

Si sta, insomma, molto male.

Luca ultimamente ha difficoltà sul lavoro. Normalmente se la cava bene, ma negli ultimi tempi sente di non riuscire a stare al passo. Non si può neanche dire che abbia la testa occupata: la sente vuota, priva di pensieri. Si sente debole e sonnolento.

Quando esce con la compagna, Luca si sforza di essere presente, sorridente, partecipe. Lei si arrabbia anche un po’. Il tempo passa, la situazione si fa più pesante. Luca sente un senso di distacco sempre più forte rispetto a quello che accade attorno a lui.

Spesso non riesce a dormire più di quattro ore per notte, ha iniziato a provare una forte ansia riguardo al suo futuro, a volte salta i pasti. Sta così male che a volte pensa che morire o farsi del male potrebbero dargli sollievo; il solo fatto di avere queste idee lo spaventa molto.

Luca si sente debole, abbattuto, non sa cosa fare. Solo quando si accorge di questa situazione inizia a pensare di cercare aiuto.

La depressione è una cosa seria. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità è un male diffusissimo, in crescita, che ha effetti su famiglia, istruzione e lavoro delle persone che ne soffrono ed è una forma di sofferenza che può avere conseguenze gravi.

Eppure, spesso chi ne soffre si pensa sostanzialmente che non dovrebbe sentirsi così. Sente che in fondo basterebbe non badarci e le cose cambierebbero. Quasi come se fosse un debole.

Insomma, neanche per chi fa le spese della depressione sulla propria pelle è facile riconoscere di doversi prendere cura di sé.

C’è un aspetto della depressione che ha una forte influenza sulla possibilità di riconoscere di stare male e quindi di fare qualcosa: il senso di colpa.

Chi è depresso si sente in difetto verso gli altri: fa meno, è meno, sente di non esserci.

Rispetto a se stesso, il depresso non si perdona gli insuccessi, le mancanze, le debolezze.

Chi è depresso sente di primeggiare in una cosa: essere peggiore degli altri.

Il percorso che porta alla consapevolezza è tortuoso, passa per tipi diversi di sofferenza e stadi diversi di consapevolezza. Nei prossimi punti vedremo cosa accade.

Non ce la faccio più! Cosa non fare

[Nel video parlo del problema problema di sentirsi dire che bisogna farsi coraggio, dei rischi che corre chi è depresso quando inizia a pensare anche lui che sia vero e delle condizioni che possono sbloccare questa situazione di autocolpevolizzazione]

Nonostante negli ultimi decenni si sia diffusa una certa consapevolezza del peso dolore mentale nella vita di tutti, e in misura ancora maggiore in chi vive una condizione come la depressione, non è ancora raro sentire che vengono consigliate delle attività anti-depressione come:

  • vedere più spesso gli amici
  • conoscere persone nuove
  • meditare
  • fare esercizio fisico
  • dormire di più e meglio

Consigli del genere sono diffusi, anche nei libri di “auto-aiuto” a cui spesso una parte di chi cerca di trovare soluzione alle proprie difficoltà si rivolge.

Il difetto è fondamentalmente uno: una persona depressa queste cose le vuole fare, soprattutto se pensa servano a farla stare meglio.

Però… non ci riesce! Invece è in una condizione in cui:

  • vedere gli amici significa soffrire per via del confronto fra la loro vita e la propria che la persona sofferente fa in modo spontaneo: diventa una conferma di essere una persona cattiva (“trascuro gli amici, nessuno vorrà stare con me“) o fallita (“a me non andrà mai così bene come a loro“).
  • conoscere qualcuno di nuovo significa fingere di stare abbastanza bene (il che è doloroso: non si sente di potersi mostrare per quello che si è)
  • non si è in grado di avere un grado di concentrazione sufficiente per meditare, oppure i benefici della meditazione sono superati da un malessere che la meditazione non è abbastanza potente da spegnere
  • similmente fare esercizio fisico, che ha un effetto positivo sull’umore, non ha un effetto sufficientemente forte
  • non è possibile dormire meglio proprio per le conseguenze della depressione: gli sforzi portano a fallimenti costanti e si scambiano costantemente la causa (depressione) con l’effetto (sonno).

[In particolare, ho scritto un articolo sulla procrastinazione]

Qual è la conseguenza? Di norma, dei fallimenti.

Questi fallimenti hanno un peso: innanzitutto aumentano il senso di colpa.

Episodi transitori di depressione, nella vita quotidiana, possono avere l’effetto positivo di promuovere la crescita di una persona attraverso l’elaborazione di esperienze di perdita e separazione. Possono arrivare delle crisi di pianto incontrollato che lasciano esausti.

Nel caso di una persona depressa in modo continuativo e dannoso per la sua salute, simili fallimenti sono una rischiosa minaccia ad un equilibrio già fragile.

Si tratta di sottoporre ad uno stress una persona già esasperata, che non ce la fa più.

Depressione: non ce la faccio più. Cosa fare?

Come abbiamo visto, “fare” comporta dei rischi.

Le persone depresse soppesano le azioni: sono dispendiose, e non si sente di avere molta energia a disposizione.

Ecco però qualcosa di importante. Il senso di colpa soccombe (momentaneamente) alle ragioni di una positiva autoconservazione.

Dalla consapevolezza di tutto quello che si stenta a fare, col tempo ne nasce un’altra, ancora più fondamentale: la consapevolezza di stare male.

La depressione agisce selezionando le informazioni: la memoria dei fallimenti, degli errori, delle debolezze, degli episodi imbarazzanti diventa vivida. Queste memorie alimentano il senso di colpa e la vergogna.

Ad un certo momento, però, si inizia a dubitare di questa memoria stranamente, orridamente selettiva:

Penso a queste cose perché sono depresso?”

Questa domanda è già un po’ una critica! Contiene in sé la possibilità che questo non debba essere l’unico modo di sentire e di pensare. La possibilità di una vita diversa.

Quando ci si consente di pensare in termini così critici al proprio malessere, allora si inizia a concedere di stufarsi di essere sempre stanchi e tristi e si verifica un cambiamento: si è quasi arrabbiati col peso che si è costretti a portare addosso.

Proprio quando si accetta di protestare, ci si sente meno lamentosi.

Prima si pensava di essere dei frignoni, che non si meritano una spalla su cui piangere: erano altre le persone ad avere problemi veri.

Ora ci si rende conto di quanto la protesta sia valida: “chi l’ha detto che devo vivere così?

La forza rabbiosa che accompagna questa considerazione permette, paradossalmente, di prendere coscienza della propria sofferenza.

Sto male, ma posso farci qualcosa.”

È un passo importantissimo che spinge chi soffre di depressione ad attivarsi per capire come curarla.

Quando un paziente mi dice di voler vivere senza depressione, so quanta fatica gli sia costata questo proposito.

E penso che un primo passo così coraggioso vada ricompensato con una vita finalmente serena.

Pensi di essere depresso?

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